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suocere e cognate.

  • Immagine del redattore: giorgia dublino
    giorgia dublino
  • 1 set
  • Tempo di lettura: 4 min

Pilastri involontari della letteratura familiare e protagoniste indiscusse di infinite commedie e tragedie domestiche. Parliamo delle suocere e delle cognate.

Iniziamo con il concetto di “relazioni acquisite”.

La famiglia acquisita rappresenta una delle sfide più delicate nell’equilibrio relazionale di coppia. In particolare, il rapporto con suocere e cognate si muove in un territorio ambivalente: tra prossimità affettiva e confini identitari. In Italia, la cultura del legame familiare forte ma spesso invischiante amplifica questa tensione.

Nel modello familiare italiano (storicamente centrato sulla famiglia estesa e su una forte interdipendenza generazionale) i confini tra "nucleo originario" e "nuova coppia" sono spesso labili e poco tutelati.La suocera non è solo "la madre di", ma spesso continua ad avere un ruolo attivo nella gestione pratica, emotiva e simbolica della vita del figlio (e della nuora o del genero).

La cognata, a sua volta, incarna il prolungamento laterale di questo sistema: compartecipe, competitiva, alleata o antagonista, a seconda del giorno e dell’umore.

Questo accade perché la famiglia, in Italia, non è solo un’unità affettiva. È anche una struttura di potere informale: regola i ritmi, custodisce i valori, orienta (e spesso giudica) le scelte di vita dei suoi membri.

Quando arriva una nuova persona (una compagna, un marito, una compagna del figlio, una moglie del fratello) non entra solo in una relazione d’amore, ma anche in una gerarchia emotiva già esistente.

E questa gerarchia, per quanto affettuosa possa sembrare, spesso non è disposta a cedere terreno facilmente.

Nelle famiglie mediterranee, infatti, l’identità personale è fortemente intrecciata con il ruolo familiare: essere madre, sorella, figlia… non è solo una condizione affettiva, ma una posizione esistenziale. Per questo le dinamiche tra suocere, cognate e nuove arrivate sono cariche di simbolismo implicito, aspettative non dette e confini che non sempre si possono nominare, ma si sentono eccome.

Il conflitto non nasce dall’odio, ma dall’intimità forzata. Dalla difficoltà di tracciare un “mio” e un “tuo” in un contesto che ti vuole “nostro”... anche se a modo suo.

Non hai scelto tua suocera, come non hai scelto l’intonaco del bagno nella casa in affitto: ti è toccata. E resta lì. Eppure, da quando stai con lui (o lei), lei è parte del pacchetto. Come le spese condominiali o il ciclo quando hai la cena romantica.

Cognate incluse, come i gadget in edicola: sembrano inutili, ma poi occupano spazio. E opinioni.

La suocera ha cresciuto figli “senza mai lamentarsi”. Tu, invece, osi dire che sei stanca.

Lei partoriva e il giorno dopo stirava. Tu partorisci e il giorno dopo sei ancora stesa a cercare di capire che ore sono.

La cognata, se più giovane, ti vede come una vecchia. Se più grande, ti vede come un’invasione di campo.

In certi casi, più che famiglia acquisita, sembra un Senato interno permanente, con alleanze variabili, tradimenti simbolici e decreti orali non richiesti.

Un potere antico, che si trasmette per linea femminile, ma mai per atto scritto.

Solo sguardi, pause drammatiche e frasi cominciate a mezza voce e mai finite.

Il codice è silenzioso. Ma vincolante.

Le nonne di oggi, classe 1935, non alzavano la voce. Non ne avevano bisogno. Bastava il cucchiaino nella tazzina. Se girava piano: approvazione. Se girava veloce: tensione. Se non lo girava affatto: catastrofe imminente. Erano il tipo di matriarche che, anche quando non c’erano, continuavano a dettare legge: “Non si può fare così, perché la nonna non avrebbe voluto.”

Le nate nel 1961 sono quelle che hanno vissuto l’illusione degli anni ’80. Quelle convinte che bastasse parlare, confrontarsi, esprimersi. Che i rapporti si potessero negoziare, e non solo subire. Quelle che hanno letto De Beauvoir, ma poi hanno stirato le camicie. Che sognavano la liberazione esistenziale, ma nel frattempo si occupavano dei colletti storti. Convinte che l’emancipazione passasse per il pensiero critico, ma anche per la gestione delle lasagne della domenica. Hanno lottato per la parità, ma sono finite a fare da mediatrici tra nonna e figlia. Nel tempo hanno affinato l’arte del commento leggero che pesa due chili: "Ma tu sei più brava di me, eh. Io alla tua età avevo già due figli, una casa e il mutuo." Sorridono spesso. Ma sotto il sorriso tengono un Excel emotivo con tutte le cose che non dimenticano. Non ti puniscono subito. Ti citano anni dopo.

Noi millennial, figlie dell’88, cresciute tra Polly Pocket e contraddizioni emotive, non reggiamo più i dialoghi-lotta.

Li riconosciamo. Li annusiamo da lontano. E se possiamo, li boicottiamo con la tecnica del cuscino invisibile: ci affondiamo la faccia emotiva e lasciamo parlare gli altri.

Cresciute a “fa’ la brava” e “non dire tutto quello che pensi”, ma poi laureate in “comunicazione non violenta” e in “lascia perdere che non ne vale la pena”.

Una parte di noi vuole fare la rivoluzione. L’altra prenota una stanza mentale in un B&B emotivo con check-out flessibile, colazione a parte.

Parliamo. Ma se interrotte, non ripetiamo.

Ascoltiamo. Ma se giudicate, mettiam in silenzioso la relazione.

Abbiamo imparato ad amare i legami, ma anche a difendere il perimetro affettivo.

Non siamo cambiate davvero. Siamo diventate più sottili. Più ironiche. Più allenate al gioco.

Le une erano imperatrici.

Le altre, ministre.

Noi? Specialiste in fuga strategica con ritorno a sorpresa. Una specie di versione domestica di Domina, solo con meno sandali e più WhatsApp.

Chi siamo??? Livia Drusilla, ma con i cerotti alle occhiaie e il controllo dell’ecosistema emotivo altrui. Osserviamo in silenzio, memorizziamo tutto, non parliamo mai per prime, eppure, quando parliamo, la temperatura della stanza cambia. Non serviamo il tè. Distribuiamo tregue. E se tacciamo, è solo perché sappiamo che il silenzio pesa più di mille battute passive-aggressive.

La suocera parla molto, ma ascolta poco. È convinta di vedere tutto.

La cognata, invece, è la principessa di se stessa. Non regna, ma si comporta come se dovesse ereditar tutto. Fa come le pare, dice quel che vuole, e se osi dissentire, ti guarda come una schiava che ha osato parlare senza permesso.

Nel frattempo, senza fare rumore, teniamo in piedi l’intero equilibrio familiare con un cucchiaio di pazienza e una crema digestiva.

Perché puoi anche non notarmi, ma se smetto di contenere, qui cade tutto. E non abbiamo il tempo di ricostruire l’Impero ogni lunedì mattina.

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