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Referendum: io sto nella merda per colpa vostra.

  • Immagine del redattore: giorgia dublino
    giorgia dublino
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 2 giorni fa

Non sono mai stata una da partiti.

Né di destra né di sinistra, né di centro né di bordo pista.

Per anni mi sono definita (come tanti) “apolitica”, nel senso più onesto del termine: non mi ci ritrovavo, non mi fidavo, non mi interessava nemmeno troppo.

Poi, ho cominciato a vivere davvero la mia vita.

Con tutte le sue incasinate meraviglie: lavorare, crescere figli, cercare una casa, pagare bollette, fare file infinite per diritti che sembrano sempre più favori. E ho capito che, volente o nolente, la politica mi riguardava. Anzi: che la politica era già dentro la mia vita, solo che io non me ne accorgevo.

A breve si voterà. Ancora una volta.

Un referendum, stavolta. Una di quelle occasioni che, sulla carta, dovrebbero essere il cuore pulsante della democrazia. Un’occasione per esprimere un’idea, una visione del mondo, una preferenza. E invece, ogni volta che ne parlo con qualcuno…definiamolo con “età da pensione”, capita immancabilmente che mi senta rispondere con la nonchalance di chi ha già archiviato tutto: “A me non me ne frega niente. Tanto siete voi giovani che dovete pensare a ste cose… io ormai…”

Ora.

Fermiamoci un attimo.

Perché io non so se ridere, piangere, o lanciare una ciabatta. E lo dico con tutto il rispetto (pure quello che non meritate).

Perché se c’è una verità scomoda che fatico a mandare giù è questa: sto come sto anche per colpa vostra.

E sì, parlo proprio con voi, quelli che oggi hanno l’“età da pensione” ma la lucidità selettiva. Quelli che dicono di non essere più interessati, come se la loro vita fosse ormai fuori dal sistema.

Ma magari avete figli che lavorano con contratti a termine, o peggio, che sono stati licenziati con una scrollata di spalle. Magari avete nipoti che un giorno erediteranno non solo il vostro nome, ma anche il mondo che state lasciando così com’è.

Magari vi troverete coinvolti, direttamente o indirettamente, nelle conseguenze di decisioni prese in nome vostro e del vostro “non me ne frega più niente”.

Perché non è che, una volta superati i sessanta, ti scolleghi dalla realtà.

Anche se fate finta di no, quello che succede nel Paese riguarda ancora tutti. Anche voi.

E il referendum dell’8-9 giugno 2025, guarda caso, tocca proprio nervi scoperti che riguardano tutti noi, direttamente o di riflesso.

E quindi?

Quindi votare non è solo una questione astratta o “da giovani impegnati”. È capire se vogliamo lasciare ai nostri figli un mondo dove chi lavora può essere licenziato come niente, dove la sicurezza sul lavoro diventa un optional, dove chi vive qui da anni deve aspettarne dieci per sentirsi cittadino, o magari cinque se passa questo quesito.

Voi che avete votato quando io ancora manco c’ero.

Voi che avete scelto partiti, firmato deleghe, costruito un mondo con regole che adesso mi ingabbiano.

Voi che avete approvato, tollerato o fatto finta di niente mentre si distruggevano servizi pubblici, diritti, prospettive.

E adesso? Adesso “non ve ne frega niente”? Davvero?

È vero!

Chi sente parlare del referendum oggi vede solo slogan, facce in TV, analisi da talk show e drammi gonfiati sui social.

Nel frattempo, i partiti parlano.

Chi urla alla libertà, chi promette giustizia, chi tira fuori parole grosse come “Stato di diritto”, “valori occidentali”, “identità nazionale” e intanto nessuno che ci dica, con chiarezza, cosa ci aspetta il giorno dopo il voto.

Sembra quasi che il referendum serva più a misurare le tifoserie che a risolvere qualcosa.

La destra lo usa per fare muscoli, la sinistra per dire “vedete? ci siamo ancora”, e il centro, se lo trovate, forse sta cercando il Wi-Fi per connettersi con la realtà.

Ma io, che nella realtà ci vivo tutti i giorni, vorrei un dibattito che non mi prendesse in giro.

Ancora una volta, tocca a noi decifrare messaggi vaghi, tradurre slogan vuoti e capire se quella X sulla scheda cambierà qualcosa, o se serve solo a salvare qualche faccia in televisione.

Io che invece nella merda ci sto con tutte le scarpe – tra mutui, figli, bollette, tagli alla scuola e al sociale – mi sento dire di “pensarci io”.

Ma io ci sto pensando. Solo che, nel frattempo, sto pagando anche i vostri conti.

Il diritto al voto non è un gettone usa e getta. Non si esaurisce a una certa età. Non si spegne con l’interesse.

E poi, scusate, ma se ci lamentiamo che i giovani “non partecipano”, che “non leggono”, che “non votano”… poi quando finalmente uno si interessa gli diciamo pure: “Tanto non serve, è tutto già deciso”?

Eh no.

Io non voglio più sentirmi in trappola tra due generazioni che scaricano barile: chi ha votato troppo e chi non vuole più votare affatto.

Io voglio poter dire che sto partecipando. Che non sto subendo passivamente. Che, nel mio piccolo, provo a non voltarmi dall’altra parte.

Perché la verità è che il futuro si costruisce anche con un sì o con un no scritto su una scheda elettorale.

E se il presente fa schifo, almeno proviamo a capire perché, e da chi è stato disegnato così.

E quindi, sì.

Vado a votare.

Non perché creda nelle favole, ma perché fare la mia parte è l’unico modo che ho per non farmi comandare in silenzio.

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