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  • giorgia dublino

Una corsa al coraggio e tenacia.

Fermezza e perseveranza nei propositi e nell'azione": tenacia.

Una dote che si impara forse, oppure è innata. Molte volte oggi giorno ci si demoralizza e si perde di vista l’obiettivo che ognuno di noi si è posto. Non sempre le circostanze risultano favorevoli e spesso è più semplice dirsi e ripetersi “ci penso domani” piuttosto che prendere coscienza dei fatti, rimboccarsi le maniche e proseguire a testa alta sulla strada che si è scelti di intraprendere.

"Forza d'animo connaturata, o confortata dall'altrui esempio, che permette di affrontare, dominare, subire situazioni scabrose, difficili, avvilenti, e anche la morte, senza rinunciare alla dimostrazione dei più nobili attributi della natura umana"; oppure "Sfacciataggine, impudenza": coraggio.

Dipende dal carattere la sfacciataggine? Si impara facendosi strada nelle difficoltà? Non so rispondere a questa domanda. È una dote che a volte mi manca, ma che un po' alla volta, per "necessità virtù", sto facendo venir fuori nella vita lavorativa.

Si è parlato tanto del perché e del come Elisabetta Franchi abbia detto quello che ha detto sulle donne e i lavori manageriali nella sua azienda. Molti sono stati i post che ho letto a tal riguardo. Due fazioni si sono fatte strada nel web:

Pro-concetto: molte figure imprenditoriali hanno definito la Franchi coraggiosa, perché pubblicamente ha dichiarato cosa realmente accade in fase di una selezione all’interno di un’azienda;

Abbasso Franchi: commenti sul suo modus operandi e visione arcaica ha inondato il mio LinkedIn.

Non identificandomi in nessuna delle due fazioni, perché ritengo al 50% valide le entrambi fazioni, posso però affermare con certezza che è meglio un’azienda che non prende donne a lavorare (… forse eviterei la motivazione del “giro di boa”), piuttosto che quella che assume donne perché richiesto dallo stato per poter accedere ad incentivi; oppure assegnare ruoli di responsabilità a donne alle quali non chiederei nemmeno di andare a comprare il pane e il latte.

Ebbene si! Ci vuole coraggio per scrivere queste cose e esprimerle, oggi.

Da quando ho sedici anni ho lavorato con e per aziende grandi (…mooollto grandi) e mi sono confrontata con figure professionali (…negli ultimi anni) che non sapevano mandare una mail o non conoscevano terminologie tipo “brief”; che andavano in ansia per una rottura stock o per le linee guida del visual mch.

Madre di due figli, attivamente operativa in due società, di cui burocraticamente compaio come CEO, ma per le quali ci dedico anima e corpo, mi sono ritrovata, per scelta e non per necessità, ad inviare la mia candidatura ad aziende medio-alte nel mondo del retail italiano ed essere scartata; mi dicono e mi ripetono, in famiglia, che è perché non ho quel pezzo di carta che stabilisce in un punteggio le mie capacità: la laurea o il master. Senza nulla togliere a chi ha speso la propria adolescenza e metà della fase adulta sui libri… tanto di cappello!

Ma da un’azienda che ha tremilaottocento dipartimenti, mi aspetto che alla mail di confronto sul motivo della “non sei stato scelto per questa posizione, però ritenta sarai più fortunato”, quello delle Risorse Umane possa almeno rispondere, non subito, ma almeno rispondere, alla mail di chiarificazione sulle motivazioni per le quali il mio profilo non è stato selezionato.

Poi, metto le mani nel fango, mi spacco la schiena e mi guardo attorno. Mi rendo conto che né alla mia squadra né a me mancano competenze e volontà.

Ultimamente ci è stato chiesto di supportare un lavoro nella mia città. Serviva gestire, inizialmente, la parte più noiosa, ma necessaria di un qualsiasi progetto: la burocrazia italiana. Da un “minimo supporto”, siamo arrivati ad essere presenti on field attivamente e dover interfacciare con figure a noi omologhe; il delirio!

Alcuni direbbero: “perché i napoletani hanno un senso innato nell’adattarsi”; forse è vero, ma è vero anche non si tratta di adattarsi, ma di aprire gli occhi e rendersi conto che alla base c’è qualcosa non va. Un progetto di milioni di euro gestito da personaggi che la professionalità e l’umiltà l’hanno dimenticata strada facendo. Sicuramente una strada che non mi appartiene.

Se dipendenti pensanti vengono “parcheggiati” in posizioni stalla; se figure femminili in gamba vengono messe da parte perché vogliono dedicarsi anche alla vita da mamma; se il presidio sul territorio italiano è in mano di pochi e “gira e vota” sempre degli stessi; allora mi chiedo: voglio continuare così o c’è forse la necessità che io, come altri, inizino a dire la propria. E perché no: a raccontarla tutta!

Il caos scatenato da Elisabetta Franchi, mi ha dato quella spinta a mettere su carta i miei quotidiani sfoghi casalinghi. Non si tratta di essere femminista o maschilista; forse sarebbe meglio utilizzare l’aggettivo #competentista. A prescindere dal tuo gender (perché cara Elisabetta i giri di boa ci sono anche per coppie gay…) se hai le competenze devi avere e pretendere dal tuo interlocutore di essere preso in considerazione, di essere ascoltato e sentito, di dimostrare con i fatti di essere idoneo o meno per approcciarti ad una nuova strada.

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