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Il coraggio invisibile.

  • Immagine del redattore: giorgia dublino
    giorgia dublino
  • 20 nov
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 7 giorni fa

Tra pediatrie, notti insonni e domande esistenziali in maschera da dinosauro, una madre può imparare a convivere con la paura buona.

Eppure abbiamo già le nostre paure. Quelle vecchie, intime, irrisolte. Paure di non farcela, di sbagliare, di essere troppo o troppo poco. Paure dell’aereo, dei rumori notturni, dei colloqui con i professori, del conto in banca a fine mese. Paure silenziose che impariamo a gestire con tecniche sofisticate tipo mangiare carboidrati o ignorare le notifiche.

E poi arrivano loro. I figli.

Con la loro fragilità minuscola e la loro forza assoluta. Non chiedono il permesso. Non aspettano che tu sia pronto.

Si piazzano nella tua vita, nelle tue notti, nelle tue insicurezze. E da quel momento in poi la paura cambia forma. Muta. Diventa viva. Interattiva. Evolutiva.

All’inizio è semplice: respirerà? mangerà? dormirà almeno venti minuti di fila?

E mentre tu impari a decifrare pianti come fossero codici segreti, ti guarda con gli occhi grandi e la pelle sottile come carta di riso, e senza dire una parola ti comunica la prima grande verità: “Benvenuto nel regno dell’ansia costante.”

Ma non è ansia sterile, non è paranoia.

È una paura attiva. Materna. Paterna. Animale.

Una paura che cammina al tuo fianco, che ti tiene sveglio, che ti fa controllare se respira anche quando ha già dieci anni e si è addormentato sul divano con la bocca aperta.

La loro vita è una serie di sfide al tuo sistema nervoso: la febbre che sale alle 3 di notte; il dente che non spunta mai (ma spunta quando meno te lo aspetti, giusto durante la vacanza); le prime corse in bicicletta, in monopattino, verso l’asfalto come se fosse una conquista olimpica.

Le prime bugie. Le prime amicizie strane. I primi “non voglio parlarti”...

Ogni fase ha il suo mini-horror. Ogni età il suo thriller psicologico.

E poi ci sono le paure che non diresti mai. Quelle che non confessi nemmeno al partner.

Tipo la paura che non sia felice. Che non trovi la sua strada. Che si senta fuori posto. Che non venga capito. Che venga troppo capito. Che si perda. Che soffra. Che non ti dica mai davvero cosa prova.

La paura che ereditino le tue stesse insicurezze. O, peggio, che non ereditino nulla e si lancino nel mondo ignari del dolore che può fare.

Ma è anche tutto il contrario! Perché i figli non sono solo la personificazione delle tue paure: sono anche quelli che, ogni tanto, te ne guariscono una.

Con uno sguardo che non giudica. Con una domanda filosofica detta mentre indossa una maschera da dinosauro. Con una risata che scioglie l’ansia come neve al sole. Con una frase tipo: “Mamma, io da grande voglio abitare vicino a te, così se ti dimentichi le cose io te le ricordo.” Ed ecco che la paura della solitudine, per un attimo, sparisce.

Forse il segreto è che la paura, con loro, smette di essere un nemico.

Diventa un senso. Un radar. Una preoccupazione attiva che ti tiene sveglio non per tormentarti, ma per tenere acceso l’amore.

Perché in fondo, se ci pensi bene… i figli arrivano per spaventarti, sì… ma lo fanno solo perché ti insegnano quanto sei disposto ad amare.

Fino al panico.

Fino alle lacrime.

Fino al coraggio.

E poi ci sono quei giorni veri, da sala d’attesa. Le continue visite negli ospedali; le mattine in cui tuo figlio entra negli ambulatori con la forza di un ventenne, impaurito dentro ma leone fuori. E tu resti lì, appoggiata alle pareti come quando al liceo cercavi di non fare ginnastica e aspettavi il pallone.

Attorno a te altre madri e padri, ciascuno con la propria versione di paura buona.

Ognuno in attesa, in ascolto, in silenziosa preghiera che tutto vada bene.

E in quel momento capisci davvero: la paura non è più un limite.

Quando la paura smette di bloccare e comincia a significare. diventa la forma più sincera del tuo amore.

Perché mentre prima ti paralizzava, ora ti orienta.

Ti insegna che si può tremare e andare avanti lo stesso.

Che si può piangere in macchina, asciugarsi gli occhi e poi uscire col sorriso per accompagnarlo alla porta. Che si può avere paura di tutto: delle analisi, dei risultati, delle parole dei medici e allo stesso tempo restare in piedi, inventandosi un coraggio qualunque.

Non è più la paura che ti frena: è quella che ti tiene sveglio.

Che ti ricorda che ami qualcosa (o qualcuno) più di te stessa.

Che ti spinge a fare chilometri, a cercare soluzioni, a trovare la forza nei posti più improbabili: in una battuta del dottore, in un disegno lasciato sul tavolo, nel respiro regolare di chi finalmente dorme.

Ci sono i genitori stanchi. Quelli che non meditano davanti alla paura ma la subiscono, la sbuffano, la vivono come un turno infinito che non finisce mai.

Quelli che amano, sì, ma ogni tanto si chiedono “ma chi me l’ha fatto fare?” mentre preparano la terza merenda della giornata o cercano di capire un compito di matematica che sembra scritto in antico sumero.

Ci sono genitori che si sentono in colpa per non provare sempre la versione poetica dell’amore. Perché la paura, a volte, non è più un’emozione nobile ma una fatica quotidiana: correre, lavorare, ricordarsi tutto, sopravvivere.

Eppure anche quella, in fondo, è una forma d’amore. Più ruvida, meno instagrammabile, ma vera.

Non tutti i genitori sono eroi.

Molti sono solo esseri umani che ogni mattina si rimettono in piedi, con la tazzina di caffè come unica armatura, pronti a sbagliare meglio del giorno prima.

La paura dell’amore genitoriale non è mai elegante.

È stropicciata, a volte stanca, spesso ironica per sopravvivere.

È fatta di “andrà tutto bene” detti anche quando non ci credi del tutto.

È l’unica paura che non vuoi superare, perché è il prezzo invisibile dell’affetto vero.

E forse il senso è proprio questo: che più ami, più temi.

Ma invece di ridurti, quella paura ti allarga, ti costringe a diventare elastico, umano, vivo.

Alla fine, la paura resta, ma smette di farti male.

Diventa bussola, memoria, pelle.

E ogni volta che ti sorprendi a guardarlo dormire, capisci che la tua paura è, in realtà, il modo più puro che hai di dire “ti amo”.


Abbiamo già le nostre paure… ma i figli arrivano appositamente per spaventarci. Questo testo è dedicato a tutte le madri e i padri che sanno che la paura non passa: si trasforma in coraggio invisibile.

🌙 Colonna sonora: Sleeping at Last, Saturn

Saturn - Sleeping at last


Questa storia di paure buone e coraggio invisibile ha la sua colonna sonora naturale in “Saturn” di Sleeping at Last. Una canzone che parla della meraviglia fragile dell’esistenza, di ciò che impariamo attraverso gli altri e di come l’amore, quello vero, sappia trasformare ogni paura in un insegnamento silenzioso.

Le sue atmosfere sospese ricordano esattamente quello che accade quando diventiamo genitori: scopriamo di essere minuscoli e immensi allo stesso tempo, spaventati e coraggiosi, fragili e necessari.

È una musica che non invade: accompagna.

Non spiega: illumina.

Non consola: respira con te.

Perché l’amore che proviamo per i nostri figli è proprio questo: un pianeta intero che nasce dentro di noi,e che ci insegna... ogni giorno... quanto può essere vasto il nostro cielo.

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