Vi racconto la mia "G"
Creare un logo è un po' come scrivere una storia: ci vuole tempo, attenzione e una buona dose di ispirazione. Non è solo un'immagine carina o un design grafico, è la "faccia" visiva di un lavoro. È un modo per dire chi sono senza usare parole. Deve riuscire a raccontare la mia personalità e il mio stile in un colpo d'occhio.
Un logo aiuta a creare un legame speciale, suscitando – spero – la curiosità di scoprire di più.
Dare "voce" e rispecchiare la propria individualità attraverso quella parte visiva, che non è mai solo una questione di estetica. Ogni elemento – dai colori ai caratteri, dalle linee alle forme – deve comunicare qualcosa, raccontare una storia. Insomma, qualcosa di semplice: un segno grafico, un simbolo che dovrebbe farmi riconoscere, rendermi "identificabile".
La parola "logo" ha origine dal greco antico λόγος (lógos), che significa "parola", "discorso" o "significato". Inizialmente, il termine era usato per indicare una parola o un segno che trasmetteva un concetto, e nel tempo ha evoluto il suo significato per riferirsi a un simbolo grafico che rappresenta un'entità, un'idea o un marchio.
Ora, per quanto mi piacerebbe poter dire che ho preso in considerazione tutta l’evoluzione storica del concetto di logo e la sua ascesa alla modernità, ammetto che non è proprio andata così! Mi sono concentrata sulla parte pratica: creare un simbolo che parli subito di me e del mio lavoro, senza farmi troppo prendere dal viaggio filosofico che c'è dietro. Ma hey, sicuramente gli antichi Greci avrebbero approvato, no?
Ebbene… Quando ho cominciato a pensare al mio logo, una cosa mi è venuta subito in mente: Lo straordinario mondo di Gumball. Se ci avete mai fatto caso, nel cartone c'è una costante "scomposizione" e "ricomposizione" delle forme: i personaggi sono tutti un po’ strani, disegnati con stili diversi, come se fossero un mix di elementi visivi. Quel caos visivo, quelle sovrapposizioni di forme e colori, sono un po' il cuore del cartone e, in qualche modo, sono stati il punto di partenza.
Come nel Mondo di Gumball, dove tutto sembra un po' fuori dagli schemi e pieno di sorprese, anche il mio logo gioca con linee, colori e forme che non seguono regole rigide, ma che insieme raccontano una storia stramba e, forse, un po’ inaspettata; un mix di serio e ironico, profondo e leggero, che riflette il mio modo di affrontare la vita. Un equilibrio tra la ricerca di significato nelle cose e la capacità di non prendersi troppo sul serio, perché è proprio nelle sfumature e nei contrasti che trovo la bellezza del mondo.
Così nasce la mia "G", un logo che non è solo un simbolo, ma una mia piccola opera d’arte, un concentrato di ciò che sono. Ma attenzione: non solo estetica. Oh no, questo logo è un viaggio – un concentrato di sarcasmo, critica e introspezione (ovviamente in un formato compatto, non vorrei mai sembrare troppo impegnativa).
La vedete quella "G" gigante al centro? Non è lì per caso. Certo, magari un po' di megalomania c'è – ma non è questo il punto, giuro! Questa lettera non è solo l’iniziale del mio nome; è una dichiarazione di identità. Scegliere di rappresentarmi con una "G" stilizzata è come dire al mondo: eccomi, sono io, con tutte le mie contraddizioni, il mio senso critico e, naturalmente, la mia dose di sarcasmo. E non è forse l'ironia il più grande atto di resistenza in questo mondo frenetico? Come scrisse Oscar Wilde, "L'ironia è la libertà." Perché saper giocare con le parole, piegarle e dare loro un doppio significato, è come indossare un’armatura contro le banalità della vita. Un'ironia celata in una semplice lettera, in una forma che a prima vista sembra quasi innocente.
Poi ci sono quei cerchi colorati che sembrano occhi – sì, l'avete notato, e non fate finta di nulla! C’è un occhio azzurro, vibrante, e un occhio volutamente lasciato nero, in continuità con le linee che compongono la "G". E no, non è per sembrare sbilanciata! Questi occhi rappresentano la mia visione del mondo: una prospettiva frammentata, critica, sempre in cerca di verità nascoste, di quei dettagli che spesso fanno storcere il naso.
I due occhi, uno vivido e uno monocromatico, sono un invito a guardare oltre le apparenze, a interrogarsi su ciò che è evidente e su ciò che rimane nell'ombra. È come se dicessero: "Niente è mai come sembra davvero." Perché chi mi conosce sa che non mi accontento delle prime impressioni, delle risposte facili. La mia visione è duplice, fatta di contrasto tra il chiaro e lo scuro, tra il colore che attira e la linea nera che sfugge. È la mia versione del famoso “vedere il mondo a colori” – dove però, sotto la superficie, rimane sempre un margine di dubbio.
Oggi come oggi, chi crede ancora alle apparenze? La superficialità è ovunque, dall’immagine patinata sui social alla facciata di perfetta normalità che tutti cercano di mantenere. Io invece preferisco svelare l'illusione, e questi occhi diversi sono il mio modo di farlo: ricordano che a volte il mondo ha bisogno di essere guardato da un'angolazione un po’ stramba per rivelare ciò che c'è sotto.
La linea blu che funge da bocca è volutamente neutra, quasi impassibile. Una smorfia appena accennata, il cenno di vede il mondo per quello che è ma non si lascia sopraffare. E questa bocca sembra dire: "Sì, ho visto tutto, ma evito di commentare... troppo."
Ogni logo ha i suoi colori, e anche il mio non fa eccezione. Qualcuno potrebbe dire che il blu rappresenta la calma e la riflessione. Oh, non fraintendetemi: di calma ne ho poca, e di riflessione… beh, quella va e viene, soprattutto quando ci sono pensieri troppo profondi da gestire prima del caffè del mattino. Il blu, però, richiama anche un certo distacco critico, quel mio modo di guardare il mondo con un pizzico di freddezza analitica. Il fucsia, rappresenta la mia apertura al mondo e la sensibilità verso le emozioni, mie e altrui. È un colore che porta con sé un’energia intensa ma diversa dal rosso: anziché esprimere pura passione, il fucsia è la forza dell’empatia, della comprensione, la mia capacità di percepire le sfumature emotive attorno a me. Questo lato si riflette quando scrivo di sentimenti profondi, in equilibrio tra l’autoironia e la consapevolezza che ogni emozione, per quanto intensa, può essere un'opportunità di crescita. E poi c’è l’arancione, sparso qua e là: un po’ di energia e vitalità, come a dire che non prendo mai la vita troppo sul serio. È il colore dell’autoironia, il tocco che dice "sto giocando, ma non troppo." L’arancione rappresenta il mio modo di dire al mondo che, nonostante la profondità e l’intensità dei temi che affronto, c’è sempre spazio per una risata, per un sorriso sornione che smorza la serietà, perché prendersi troppo sul serio è il primo passo per perdere di vista il bello di questa vita imperfetta.
Il logo non ha linee dritte, avete notato? Tutto è fluido, sinuoso, come un fiume che si muove senza sosta. E sì, vi assicuro, è fatto apposta. Non esiste una sola identità, e io lo so bene: ogni persona è un viaggio, una trasformazione continua. Non voglio darmi una forma rigida. Chi sono oggi potrebbe non essere la stessa di domani. Niente definizioni strette o etichette, per favore.
Al centro c’è una colonna: un elemento solido e verticale che dà struttura, richiamando un senso di stabilità e radicamento. Questa colonna, però, non è un semplice elemento decorativo; è la spina dorsale del mio pensiero, un sostegno costante che sorregge ogni riflessione. È come un pilastro di idee, valori e visioni su cui si poggia il mio modo di vedere il mondo. La colonna si erge al centro come un filo conduttore, un punto fermo in mezzo a linee, curve e colori che creano movimento e dinamismo attorno. È lì a ricordare che, per quanto la mia visione possa essere frammentata e critica, esiste sempre un nucleo forte, un centro stabile che mi permette di affrontare ogni tema — dal più leggero al più complesso — con un punto di vista chiaro e personale. Come la colonna è il pilastro solido che sorregge il mio logo, la parola 'logo' affonda le sue radici nel greco antico, nel logos, che significa parola, discorso, significato. Entrambi sono fondamenta: la colonna, nel logo, fornisce la struttura, mentre il logos conferisce il significato e la profondità dietro ogni parola.
Ecco, questo è il mio logo.
Alla fine, è un po’ come una poesia: semplice, ma denso di significati nascosti (e qui ogni tanto scappa pure un occhiolino).
Un piccolo mondo, un faccino ironico che guarda il mondo con distacco ma senza rinunciare alla profondità. Perché, sì, forse sono un po’ scettica (chi non lo è, dopotutto?), ma alla fine la scrittura rimane il mio mezzo di comunicazione preferito. È curioso come riesca a trasformare pensieri caotici in parole ordinate, come se fossi una maga delle lettere che tenta di dare un senso all’assurdo. Dopotutto, chi ha bisogno di gesti e sguardi quando hai un bel foglio bianco su cui scatenare la tua anima?
Quindi, se ogni tanto vi sentite persi, strani, sospesi tra cinismo e passione, ricordate: vi capisco benissimo, e il mio logo è lì a ricordarvelo.
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