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Il rispetto si impara da piccoli.

Tutto è iniziato quando mi è comparsa un’immagine su Instagram… Era una di quelle immagini che ti fermano nel bel mezzo di uno scroll distratto. Una frase semplice e diretta, che mi ha colpito più di quanto pensassi.

"Se un bambino non vuole dare un bacio o un abbraccio, non forzarlo. Il suo corpo è suo."

L’ho riletta più volte. Mi sembrava ovvia, quasi banale.

E poi un video di una mamma che insegna a sua figlia di 3 anni quali parti del corpo possono essere o non essere toccate.

Eppure, se ci penso bene, non è affatto un concetto che mi avevano insegnato da piccola. Crescere negli anni in cui i baci e gli abbracci erano una sorta di moneta sociale, un dovere più che un gesto spontaneo, significava non mettersi mai il problema. Se la nonna voleva un bacio, glielo davi. Se la zia allargava le braccia, ti lasciavi abbracciare, anche se non ne avevi voglia. Nessuno mi aveva mai detto che potevo scegliere.

Ricordate il famoso pizzicotto sulla guancia? Un classico intramontabile dell’infanzia di chiunque sia cresciuto negli anni ‘80 e ‘90. Una sorta di rito sociale a cui nessuno poteva sfuggire. Appena arrivavi a una riunione di famiglia, prima ancora di poter dire ciao, una zia, una vicina di casa o un'amica di tua nonna ti afferrava le guance con entusiasmo. E zac, il pizzicotto era servito.

Ancora oggi, se ci penso, posso quasi sentirlo. Il fastidio, la pelle che bruciava, il sorriso forzato perché sapevi che, se avessi protestato, la risposta sarebbe stata sempre la stessa: "Ma che carino, guarda che guanciotte belle paffute! Dai, non fare il timido!" E guai a lamentarsi! Perché dire che non ti piaceva equivaleva a essere “ingrati”, “scostanti”, “bambini poco educati”.

Ecco, il problema stava proprio lì.

Quella cosa apparentemente innocua... un pizzicotto, un abbraccio forzato, un bacio imposto, insegnava implicitamente che il nostro corpo non ci apparteneva del tutto. Anche se non volevamo, lamentarsi non era un’opzione.

Nessuno lo faceva con cattive intenzioni, ovviamente. Anzi, per loro era un gesto affettuoso, un modo di dimostrare affetto. Ma il messaggio che passava era sottile e potente.

E se da bambino normalizzi questa dinamica, rischi di portartela dietro anche da grande.

Guardando i miei figli oggi, capisco quanto sia importante che sappiano di poter dire di no.

Se a un bambino non piace un pizzicotto, un abbraccio o un bacio, non è un capriccio. È una sensazione legittima. E imparare fin da piccoli che possono scegliere cosa accettare e cosa no è una lezione che si porteranno dietro per tutta la vita.

Il rispetto per il corpo degli altri non si insegna con le parole, si dimostra con i gesti. Anche con quelli che sembrano piccoli e insignificanti. Perché, alla fine, sono proprio quelli che rimangono impressi.

E così, come succede quando un’idea ti si infila in testa, ho iniziato a guardare certe dinamiche con occhi diversi. Soprattutto con i miei figli.

“Dai un bacio alla nonna!”...Quante volte l’ho detto in automatico, senza neanche pensarci. Non per cattiveria. Un riflesso condizionato: il bacio era il sigillo della buona educazione, il gesto d’affetto che garantiva di essere un bambino gentile.

Poi mi sono chiesta: e se in quel momento non avessero voglia?

Non significa che non vogliono bene alla nonna, né che sono maleducati. Significa solo che in quel preciso istante non se la sentono di avere un contatto fisico. E allora? Perché dovrebbe essere un problema?

Ho deciso di cambiare approccio. Se non vogliono dare un bacio, va bene. Invece di insistere, offro alternative: “Vuoi mandare un bacio con la mano? O preferisci un batti il cinque?”

Sapete la cosa buffa? Spesso accettano una di queste opzioni con entusiasmo. Non perché qualcuno li obbliga, ma perché si sentono rispettati.

E questo, alla fine, è il punto centrale: insegnare il rispetto non significa imporre gesti, ma dare libertà di scelta. Non si tratta solo di baci e abbracci. È una lezione che va molto più in profondità: il loro corpo è loro, e nessuno può decidere per loro quando si tratta di contatto fisico.

Insegnarlo fin da piccoli significa dare ai nostri figli uno strumento fondamentale per la loro crescita: la consapevolezza che possono dire no quando qualcosa li mette a disagio. Che non devono accettare di essere toccati solo per non fare i maleducati.

Noi siamo cresciuti con un’idea diversa: il no era sgarbato, un bambino doveva essere educato, obbediente, disponibile. Ma oggi abbiamo la possibilità di insegnare ai nostri figli che il no è un diritto. E che nessuno dovrebbe offendercisi.

E quindi, cosa faccio concretamente?

Se non vogliono, non devono. Se qualcuno insiste, intervengo con un sorriso: “Oggi non ha voglia, magari preferisce un saluto con la mano.”

Ho scoperto che ai bambini piace avere delle scelte: il batti il cinque, il pugno, un bacio soffiato da lontano. Se vogliono abbracciare, lo fanno spontaneamente.

Anche tra noi in famiglia: “Posso darti un bacio?” e se la risposta è no, va bene così.

Non solo per baci e abbracci, ma per qualsiasi contatto che li metta a disagio. Devono sapere che il loro no è valido e che noi lo rispetteremo.

I bambini imparano osservando. Se vedono che noi adulti rispettiamo i confini degli altri, lo faranno anche loro.

C’è chi dice: “Ma così diventano freddi!” Una delle critiche più comuni è che in questo modo cresceranno bambini distaccati, incapaci di esprimere affetto. Ma è vero l’esatto opposto. Un bambino che sa di poter dire no è un bambino che, quando dice sì, lo fa con sincerità. E non perché qualcuno gli ha detto di farlo.

Da quando ho iniziato a prestare attenzione a questo aspetto, ho visto i miei figli essere più spontanei nei loro gesti affettuosi. Li fanno perché vogliono, non perché devono.

E questo, alla fine, è il vero insegnamento: il rispetto non si impone, si trasmette con l’esempio.

Se vogliamo crescere bambini sicuri, consapevoli e rispettosi, dobbiamo partire da qui: dal rispetto per il loro corpo, per le loro emozioni e per le loro scelte.

Anche quando si tratta di un semplice bacio alla nonna.


Cosa dice la scienza sulla consapevolezza corporea nei bambini 

Non è solo una questione di educazione o di sensibilità personale. Anche la scienza conferma quanto sia importante sviluppare nei bambini una consapevolezza del loro corpo fin da piccoli.

Uno studio pubblicato da Rosario Montirosso e Francis McGlone, intitolato “The body comes first. Embodied reparation and the co-creation of infant bodily-self”, dimostra come il contatto fisico affettivo e la sensibilità interocettiva dei genitori siano fondamentali nella costruzione dell’identità corporea del bambino. Questo significa che i bambini apprendono chi sono anche attraverso il modo in cui vengono toccati e il rispetto che gli adulti mostrano verso il loro corpo.

Inoltre, secondo le teorie di Jean Piaget, durante la fase senso-motoria (da 0 a 2 anni) i bambini sviluppano una consapevolezza iniziale del proprio corpo, imparando a distinguere sé stessi dagli altri. Questo processo continua nei primi anni di vita ed è influenzato dal modo in cui gli adulti interagiscono con loro.

Forzare un bambino a esprimere affetto controvoglia può interferire con il suo sviluppo naturale, portandolo a credere che il suo corpo non gli appartenga davvero. Al contrario, rispettare le sue scelte lo aiuta a sviluppare una percezione sana di sé e a comprendere l’importanza del consenso nelle relazioni.

E questa non è solo una lezione per i bambini. Dovremmo ricordarcela tutti.

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