La grande menzogna
Qualche giorno fa, mentre scorrevo Instagram, mi sono imbattuta in un video che mi ha fermato il dito a metà swipe. Era un frammento di un vecchio dibattito tra Paolo Bonolis e Alessandro Cecchi Paone. Parlava di “Ciao Darwin”, quella trasmissione apparentemente leggera, fatta di risate, sfide improbabili e contrapposizioni assurde, ma che, a detta dello stesso Bonolis, aveva un messaggio molto più profondo: mostrarci quanto sia stupido il bisogno di creare divisioni.
In quel video, Bonolis affrontava un tema ancora oggi bruciante: il modo in cui la società ci spinge a vedere "l'altro" come una minaccia, come qualcosa da temere o da combattere. Che sia una cultura diversa, un’ideologia opposta o semplicemente uno stile di vita alternativo, tutto viene confezionato in modo da sembrare pericoloso. Perché? Per tenerci spaventati. E la paura, si sa, rende più docili.
Ho pensato a lungo a quelle parole, perché, ammettiamolo, suonano spaventosamente familiari. Oggi, più che mai, sembra che il mondo ci inviti a identificarci con una "squadra" e a temere, o addirittura odiare, tutto ciò che non appartiene al nostro gruppo.
Ma è davvero così? Siamo davvero così incasinati ed incastrati in un sistema che ci educa a diffidare del diverso per farci applaudire chi tira i fili?
Alla fine, mi è sembrato tutto chiaro: è una strategia vecchia quanto l’umanità. Fin da sempre, chi detiene il potere sa che creare un nemico è il modo migliore per unire e controllare. Ma oggi, con i social, questa tattica si è evoluta in qualcosa di più sofisticato e pericoloso. Come dire, la stessa ricetta: divisione, paura, controllo… ma aggiornata alla versione 2.0. Ora ci sono algoritmi che amplificano le nostre paure e bolle di filtro che ci rinchiudono in un universo in cui tutto ciò che non conosciamo diventa automaticamente "altro".
Pensiamo all’antica Roma: il concetto di barbarus, ovvero il barbaro, serviva a definire chi non rientrava negli schemi culturali romani. I barbari non erano solo stranieri, erano il caos contrapposto all’ordine, il pericolo che giustificava guerre e conquiste. Questa divisione tra “noi” e “loro” rafforzava l’identità dei romani e legittimava le decisioni dell’élite politica.
Passiamo al Medioevo: le crociate sono l’esempio perfetto di come la creazione di un nemico esterno, il “miscredente”, abbia permesso di unire regni frammentati sotto una bandiera comune. Non importava se i regni cristiani litigavano tra loro: il nemico comune, i musulmani, era sufficiente per spingerli a combattere insieme.
Anche in epoca moderna, la tecnica non è cambiata. Dai totalitarismi del Novecento, che demonizzavano interi popoli o gruppi etnici, fino alla Guerra Fredda, che ci ha abituato a un mondo diviso tra "il blocco occidentale" e "il blocco orientale". Sempre la stessa storia: identificare un “loro” per consolidare il “noi”.
E così ho iniziato a riflettere. Questo ciclo di paura e divisione non è solo un problema teorico o filosofico: ha conseguenze reali. Alimenta tensioni sociali, spegne il dialogo, ci allontana gli uni dagli altri. Ma, soprattutto, ci rende più controllabili. Ecco perché credo che valga la pena indagare su come siamo arrivati a questo punto e, soprattutto, su come possiamo spezzare questo schema. Anche perché, onestamente, l’idea di vivere in un eterno “noi contro loro” non mi entusiasma affatto.
I media, da sempre, hanno un potere immenso: raccontano il mondo, ma possono anche distorcerlo. In questo contesto, la paura è una delle emozioni più facili da suscitare e sfruttare. Dai notiziari che enfatizzano solo gli eventi negativi, alle campagne sui social che polarizzano le opinioni, il risultato è sempre lo stesso: mantenerci in uno stato di allerta perenne.
Un esempio evidente è la rappresentazione di gruppi minoritari, politici o culturali come "nemici" della nostra sicurezza o dei nostri valori. Non importa se la minaccia è reale o percepita, ciò che conta è l'effetto: un pubblico spaventato è un pubblico facile da influenzare.
La paura è un'emozione potentissima. Ci rende vulnerabili, inclini a seguire chi promette soluzioni rapide o ci offre protezione. Ecco perché viene spesso utilizzata come strumento di controllo.
Creare nemici e problemi fittizi permette a chi detiene il potere di presentarsi come l'unica soluzione. Questo approccio crea una dinamica di dipendenza, dove le persone rinunciano alla propria autonomia in cambio di una sicurezza che, spesso, è solo illusoria.
Un effetto collaterale di questa manipolazione è la polarizzazione: un mondo diviso in "noi" e "loro". Queste divisioni vengono enfatizzate non solo nei media, ma anche nella politica e nella cultura. Il risultato? Comunità frammentate, incapaci di dialogare e di costruire insieme.
Quando ci concentriamo su ciò che ci separa, dimentichiamo ciò che ci unisce. È più facile scontrarsi che cercare punti di contatto, ma questa divisione avvantaggia solo chi vuole mantenere lo status quo.
E quindi, di fronte a tutto questo caos, che si fa? La buona notizia è che una via d’uscita c’è. La cattiva? Non è una scorciatoia. Servono consapevolezza e un po’ di impegno – sì, proprio quello che spesso preferiamo riservare alle maratone su Netflix.
Per cominciare, dobbiamo affinare il nostro "fiuto da detective". Non tutto ciò che ci raccontano va preso per oro colato. Quando leggiamo una notizia o vediamo un post, facciamoci qualche domanda: “Chi lo dice? Perché lo dice? Sta cercando di vendermi qualcosa, magari paura?” Insomma, manteniamo una sana dose di scetticismo: non tutto merita la nostra fiducia incondizionata, neanche se arriva con titoli roboanti o effetti speciali.
Poi, c’è il dialogo. Lo so, può essere complicato, soprattutto quando ci troviamo di fronte a idee che sembrano l’opposto delle nostre. Ma ascoltare davvero, senza pregiudizi, è fondamentale. Alla fine, è un po’ come il caffè: ognuno lo preferisce a modo suo...lungo, ristretto, macchiato, ma il piacere di condividerlo rimane lo stesso. Non dobbiamo essere d’accordo su tutto, ma possiamo comunque trovare un punto di incontro, proprio come si fa davanti a una tazzina fumante.
E se il diverso ci spaventa, la soluzione non è evitarlo come un esame di matematica. Andiamo incontro a nuove esperienze, conosciamo altre culture, parliamo con chi ha storie diverse dalle nostre. Scopriremo che il mondo è più ricco e interessante di quanto pensassimo.
Infine, la paura. Quando arriva, fermiamoci e facciamoci due domande: Ma questa paura è vera? O qualcuno sta cercando di farmela venire? E, soprattutto, chi ci guadagna? Spesso scopriremo che il "mostro sotto il letto" non è altro che un’ombra, amplificata da chi sa bene come sfruttarla.
Non sarà facile, certo. Ma è molto meglio che restare intrappolati in un circolo di paure e divisioni. E poi, vuoi mettere la soddisfazione di spegnere il megafono della manipolazione e riprendere il controllo del tuo pensiero? Un piccolo atto di ribellione quotidiana che, piano piano, può cambiare il mondo.
Riguardare quel vecchio video di Bonolis mi ha ricordato quanto sia importante non lasciarsi sopraffare dalla paura e dalla divisione.
Ognuno di noi può fare la differenza, scegliendo di essere più consapevole e di costruire ponti anziché muri.
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