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Il vocabolario segreto edizione bilingue.

  • Immagine del redattore: giorgia dublino
    giorgia dublino
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 5 giorni fa

In casa mia si parla italiano. Ma anche una lingua a parte: il bambinese creativo, una miscela di logica infantile, poesia domestica e geniale anarchia fonetica.

Non servono traduttori, basta il cuore. E una certa dimestichezza con grattugie, draghi immaginari e acqua “lissa”.

Non è un dizionario che si trova in libreria.

Non ha definizioni standard né regole grammaticali.

Ha suoni che si rotolano sulla lingua, significati che nascono nei corridoi e in cucina, e una logica tutta loro: quella dell’infanzia.

Lo parlano fluentemente in due. Io, ogni tanto, traduco. Ma più spesso, ascolto con stupore.

Perché il loro linguaggio è un’opera d’arte quotidiana, un atto creativo spontaneo che smonta il vocabolario ufficiale e ne costruisce uno migliore: più musicale, più diretto, più umano.

 

Ecco alcune voci fondamentali del nostro dizionario domestico:


grat·tu·già·no

/ɡratːuˈdʒaːno/

sostantivo maschile

Versione potenziata e mitologica della grattugia. Utensile sacro che fa piovere parmigiano sui piatti, trasformando anche la pasta più scotta in una festa. Presente in ogni cucina in cui il formaggio è religione.

Nota d’uso: oggetto spesso perso nel caos del cassetto, ma evocato con la stessa urgenza di un incantesimo salvavita.

 

Har·ry Còt·ter

/ˈarri ˈkɔtter/

nome proprio – categoria: eroi domestici immaginari

Il mago con la cicatrice, versione affettiva e non negoziabile. Non importa come si scriva nei libri: lui è Harry Cotter, punto. Guai a correggere: qui non si cercano nomi esatti, ma mondi evocati. Cotter è colui che fa volare le scope, lancia incantesimi, e soprattutto vive in un universo parallelo dove le mamme non dicono mai di no alla Nutella.

Nota d’uso: ogni tentativo di dire “Harry Potter” verrà ignorato con sguardo severo e tono da piccolo insegnante di Hogwarts.

 

pu·ràn·chio

/puˈrankjo/

espressione partecipativa – solidarietà immediata e inclusiva

Forma affettiva e compatta di “pure anche io”. Il puranchio non è solo una richiesta: è un manifesto di appartenenza. È il grido con cui ci si inserisce in qualunque azione, evento o desiderio altrui, dalla merenda al bagno. Dichiarazione ufficiale di fratellanza, complicità e urgenza non negoziabile.

Nota d’uso: gli adulti fingono di non capirla. Ma lo fanno solo per evitare di dividere il gelato.

Prequel affettivo di “pure anche io” : àn·che tiù  /ˈanke ˈtju/ - espressione affermativa; adesione entusiasta. Prima di “puranchio”, abbiamo attraversato la fase dell’ “anche tiù”: formula compatta, decisa e vagamente internazionale per dire anch’io ci sono. Un’espressione che mescola l’italiano, l’inglese e il bisogno primordiale di essere inclusa, subito. È partecipazione con sentimento.


sci·lò·go

/ʃiˈlɔɡo/

sostantivo maschile (anche azione implicita)

Lo scivolo, ma con più coraggio dentro. È l’unione perfetta tra scivolo e slancio, tra voglia di volare e prudenza istintiva. Lo scilogo non è solo un gioco: è una sfida personale, una prova di fiducia, un piccolo volo in discesa. Dentro questa parola ci sono il brivido, la risata e quella richiesta sottintesa: “Mamma, fammi volare… ma non troppo.”

Nota d’uso: nessun bambino lo chiama "scivolo" dopo aver provato a dire "scilogo". E, onestamente, funziona meglio anche in poesia.

 

ca·làl·lo

/kaˈlallo/

sostantivo maschile – mitologia infantile

Il cavallo, ma potenziato dalla fantasia. Il calallo è destriero, compagno, mezzo di trasporto immaginario e alleato nelle fughe emotive. Può essere di plastica, peluche, carta o puro spirito. Non si limita a nitrire: galoppa dentro le storie, sfida i draghi e porta in salvo chiunque stia per scoppiare in lacrime.

Nota d’uso: il calallo arriva sempre al momento giusto. Anche quando nessun adulto lo vede.

 

àc·qua lìs·sa

/ˈakwa ˈlissa/

sostantivo femminile – idratazione consapevole

L’acqua nella sua forma più pura e rassicurante. La lissa non pizzica, non sorprende, non tradisce. È l’acqua che si può bere a secchiate senza rischiare reazioni drammatiche. È l’acqua degna di fiducia. Qui la si pretende. E se per errore le versi “quella che punge”, ti fissa come se stessi attentando alla sua integrità orale.

Nota d’uso: in certe fasi della vita, distinguere tra acqua liscia e acqua con le bolle è una questione esistenziale.

 

prèn·di al làn·cio

/ˈprɛndi al ˈlantʃo/

espressione verbale – invito sportivo poetico

Forma creativa di “prendi al volo”. Tutto è più epico se c’è un lancio. Che si tratti di una merendina, un pallone o un pupazzo lanciato dal divano, l'importante è acchiapparlo in aria con prontezza e onore.“Prendi al lancio!” è il comando, l’inizio di ogni missione dinamica.

Nota d’uso: più che una frase, è una filosofia. Perché nella vita, o prendi al lancio… o ti tocca raccogliere da terra.

 

bi·bè

/biˈbɛ/

sostantivo maschile – sanitario alternativo e versatile

Il bidet, ma con stile. Il bibè è l’oggetto più misterioso del bagno. Viene chiamato con tono elegante, quasi francese, come se fosse un accessorio da boutique e non un sanitario. Non lo si usa (quasi) mai per quello che è: per i bambini è trono, lavandino basso, vasca per dinosauri, piscina per Barbie, stazione spaziale. Un simbolo di libertà idraulica e fantasia sfrenata.

Nota d’uso: per gli adulti è spesso dimenticato. Per i bambini, è il centro gravitazionale del bagno.

 

zà·jon

/ˈdzajon/

sostantivo maschile – contenitore epico da viaggio infantile

Versione sonora e internazionale dello “zaino”. Il zajon non è solo uno zaino: è un compagno di scuola, un marsupio per tesori, una corazza quotidiana. Dentro ci puoi trovare di tutto: un panino a metà, sassolini, un dinosauro di plastica, e almeno un segreto. Il nome sembra venire da una lingua straniera.

Nota d’uso: il zajon è sempre troppo pesante, troppo pieno o troppo perso. Ma guai a sostituirlo.

 

coc·chià·li

/kokˈkjali/

sostantivo maschile plurale – accessorio evolutivo

Gli occhiali, ma con più coccole e meno ottica.I cocchiali non servono per vedere meglio, ma per essere meglio. Si indossano al contrario, sul naso del pupazzo o sopra il pigiama. Sono travestimento e dichiarazione d’identità.

Nota d’uso: ogni bambina dovrebbe averne almeno un paio. Non per vederci chiaro, ma per farsi vedere.

 

chè fifo

/ke ˈfifɔ/

esclamazione infantile – disgusto estetico e olfattivo

Versione emozionale e tenera di “che schifo”. Può essere qualsiasi cosa: una macchia, un odore, un cibo sospetto, un insetto con troppi occhi. È l’espressione ufficiale del rifiuto, ma con grazia.

Nota d’uso: il fifo, una volta dichiarato, va immediatamente rimosso. O verrà esiliata l’intera area.


Mi sono chiesta spesso se registrare tutto, conservare ogni storpiatura, farne un libro illustrato o un poster da tenere in cucina. Poi ho capito: non serve.

Queste parole vivono nel tempo breve dell’infanzia, come certe favole o certe magie.

Ma proprio per questo sono importanti.

Sono il modo in cui i miei figli mi hanno insegnato a “dire diversamente il mondo”.

Poi, ovviamente, è tutto da correggere dalla logopedista. Ma almeno con materiale di altissimo valore narrativo!

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