Ultima Poesia: solitudine e connessione
Una riflessione sulla solitudine e le relazioni moderne, dove restiamo distanti e incapaci di colmare il vuoto interiore.
In un mio vecchio articolo ho sottolineato l’importanza della musica, affermando: "La musica ha il dono di attingere alle corde più intime dell'anima, di suscitare emozioni profonde e di trasportarci in mondi lontani. È una forza che può prendere il controllo delle nostre emozioni, guidandoci attraverso paesaggi sonori che ci fanno vibrare, regalandoci momenti di pura magia."
La musica va ben oltre il semplice intrattenimento: ha il potere di influenzare le nostre emozioni, stimolare la creatività e stabilire connessioni profonde con gli altri. È un linguaggio universale capace di comunicare direttamente con l’animo umano, creando un legame tra le esperienze personali e la condivisione di sentimenti comuni.
Nonostante non mi facciano impazzire le canzoni di questo genere, ascoltando "Ultima Poesia" di Geolier e Ultimo, mi sono resa conto che, pur non essendo il mio stile musicale preferito, il testo mi ha spinto a riflettere su alcuni aspetti della società e delle relazioni interpersonali di oggi. Non si tratta solo di una canzone d’amore o di un addio malinconico, ma piuttosto, credo, di una riflessione più ampia sulla solitudine, sulla paura di aprirsi agli altri e sul senso di disconnessione che spesso accompagna le nostre vite, anche quando siamo circondati da persone.
Forse sarà per la mia formazione (liceo classico, tra parafrasi e traduzioni, e una tesi di laurea in semiotica dei media), ma non ho potuto fare a meno di esplorare più a fondo la connessione tra il testo di "Ultima Poesia" e alcune tendenze sociali, culturali ed emotive della società contemporanea.
Uno dei temi che mi ha colpito subito è la solitudine. È incredibile come questa sensazione permei le relazioni umane oggi. Crediamo di essere sempre connessi, ma alla fine ci sentiamo più soli che mai. Non è strano? Siamo circondati da persone, interagiamo online con decine di contatti, eppure la solitudine resta lì, sullo sfondo. Il verso "T’annammure pecché nn’vuò stà tu sola, ma staje sola pure si staje cu’mmé" lo descrive perfettamente. Quel bisogno di non sentirsi soli spinge tante persone a cercare relazioni, ma spesso non sono relazioni autentiche. Ci si aggrappa all'altro per riempire un vuoto, ma quel vuoto rimane, perché le fondamenta non sono solide: sono basate sulla paura, sul bisogno di conferme.
In questo, emerge la difficoltà di conoscere davvero l’altro. Oggi è così raro riuscire a prendersi il tempo per esplorare a fondo una persona. Spesso ci fermiamo solo alla superficie. Tutto è veloce: emozioni scambiate al volo, pensieri rapidi, ma senza mai andare veramente a fondo. E c’è tanta paura di mostrarsi vulnerabili. È come se preferissimo tenerci a distanza di sicurezza, senza abbattere quei muri che ci separano dall'altro.
Ci troviamo spesso a lottare tra il desiderio di essere indipendenti e il bisogno di vicinanza.
La società ci spinge verso l’individualismo, ci insegna che dobbiamo essere autosufficienti, ma quando ci innamoriamo, è come se entrassimo in conflitto con questa idea. Come si fa a conciliare l’autorealizzazione personale con il bisogno di un legame profondo? Mi sembra che questa tensione la sentano soprattutto i più giovani, che crescono con l’idea di dover essere sempre forti e indipendenti.
Un’altra cosa che trovo davvero interessante è il paradosso della connessione. Da un lato, tutti vogliamo sentirci vicini, evitare la solitudine; dall’altro, anche quando siamo insieme a qualcuno, c’è come una distanza che non riusciamo a colmare. Il verso "Cancella tutte cose, 'o munno nun esiste, però esiste ancora tu" riassume bene questo concetto. È come se, anche quando cerchiamo di staccarci da tutto, l’altro rimanesse comunque lì, ma senza esserci davvero. Oggi ci connettiamo facilmente attraverso uno schermo, ma quella connessione virtuale non riesce mai a soddisfare il bisogno reale di intimità. Sono relazioni fantasma: siamo insieme, ma non ci tocchiamo mai davvero.
E poi c’è l’idea della crescita emotiva. Quel verso "Nn'criscimmo maje pecché criscimmo troppo ampresso" è così vero. Crescere troppo in fretta, senza avere il tempo di elaborare davvero le esperienze, spesso porta a non capire cosa vogliamo veramente. Cresciamo, ovvio, ma rimaniamo fragili, con cicatrici che non abbiamo mai davvero affrontato.
"Ultima poesia" è un concetto; per me rappresenta una chiusura, una fine. È come se scrivere l’ultima poesia fosse il modo di mettere un punto, di dire addio a qualcosa che non può più essere salvato. Mi sembra un gesto forte, di liberazione, ma anche di crescita personale. È quel momento in cui realizzi che devi lasciar andare, che è il momento di chiudere una porta per proteggerti.
Credo che questo brano sia una riflessione profondamente emotiva sulla difficoltà di costruire relazioni significative in una società frammentata e individualistica. L’amore diventa spesso una battaglia contro se stessi, una ricerca disperata di qualcuno che possa salvarci dalla solitudine, ma senza mai riuscire davvero a colmare quel vuoto interiore.
Probabilmente gli interpreti potrebbero leggere tutto questo e pensare che non ci ho capito proprio niente. Magari per loro "Ultima Poesia" è solo una storia d'amore come tante altre. Ma d'altronde, la musica ha proprio questo potere: ognuno ci vede qualcosa di diverso, ci legge dentro le proprie emozioni e la interpreta in maniera soggettiva. Ed è forse questo il suo fascino più grande, no?
Ciao Giorgia,
bellissima riflessione, mi trovi concorde con molteplici punti. Nonostante anche io non ascolto questo tipo di genere musicale, nello specifico questo brano ha toccato corde profonde anche nella mia persona. Cosa siamo noi se non altro che la realtà che ci prefiguriamo? La solitudine è un tema molto discusso, come del resto anche il tipo di pane che mangiamo sulle nostre tavole è oggetto di discussione in questa era, eppure credo che la solitudine sia ampiamente sottovaluta nell'essenza del suo significato.
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