Istituto Antonio Serra Napoli: quando i tagli diventano abbandono.
- giorgia dublino

- 28 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 5 mag
Napoli – Istituto Antonio Serra, anno scolastico 2025-2026.
Dodici studenti, regolarmente iscritti al liceo linguistico con seconda lingua spagnola e terza lingua cinese, rischiano di vedere interrotto il loro percorso formativo. L’ufficio scolastico regionale, infatti, non ha autorizzato la formazione della classe terza per quell’indirizzo, unico nella città di Napoli. Una decisione che ha il sapore amaro dei tagli travestiti da razionalizzazione.
Il provvedimento mette in discussione non solo la continuità didattica, ma soprattutto il diritto allo studio di ragazzi e ragazze con storie e fragilità ben precise: una studentessa con disabilità motoria per la quale la vicinanza della scuola è essenziale, un’altra ragazza seguita da un percorso psicologico, un’atleta agonista che necessita di equilibrare studio e allenamenti, e diversi studenti stranieri per cui lo studio delle lingue è strumento di inclusione e riscatto.
L’indirizzo spagnolo-cinese del Serra non è replicabile facilmente altrove: le alternative si trovano fuori città, rendendo la frequenza proibitiva per molte famiglie. Il trasferimento forzato ad altri indirizzi implicherebbe il recupero di due anni di contenuti mai affrontati, con gravi conseguenze emotive, logistiche e didattiche.
Un indirizzo che rappresenta un unicum nella città di Napoli: un’offerta formativa rara e preziosa, strategica in un contesto sempre più globale, che unisce le lingue più parlate al mondo e apre reali opportunità nei settori del turismo, del commercio internazionale e dell’intermediazione culturale.
Le famiglie, insieme alla scuola, chiedono con forza che la decisione venga rivista. Non è solo una questione burocratica, ma di giustizia educativa. L’istituto Serra non è un caso isolato, ma il simbolo di un sistema scolastico che, sotto la pressione dei bilanci, rischia di dimenticare il suo compito più importante: non lasciare indietro nessuno.
Come scrive una docente sui social, “lo chiamano risparmio, noi lo chiamiamo abbandono”. È tempo che le voci di questi ragazzi siano ascoltate, e che il diritto all’istruzione non venga sacrificato sull’altare della razionalizzazione amministrativa.

Li ho conosciuti. E ora non posso tacere.
Li ho visti tra una presentazione in PowerPoint e un esercizio di storytelling, tra una timidezza iniziale e una grinta che piano piano prendeva forma. Durante il mio percorso di PCTO con loro, non ho incontrato semplici “studenti di un indirizzo linguistico”: ho incontrato voci, volti, sogni. Ragazzi e ragazze che hanno scelto un indirizzo difficile, certo, ma ricco di senso. Che studiano spagnolo e cinese non per fare colpo sul curriculum, ma per aprire mondi, superare confini, costruirsi un futuro.
C’era chi arrivava in classe sempre in silenzio e poi parlava con una lucidità disarmante. Chi faceva domande con quella fame sana di sapere. Chi si metteva in gioco anche quando l’insicurezza faceva tremare la voce. C’era anche chi, mentre parlavamo di comunicazione, mi chiedeva: “Ma io voglio fare l’interprete?” E io sorridevo, pensando: “Ne hai tutto il diritto”.
Adesso si dovrebbe accettare che tutto questo venga cancellato da una decisione amministrativa, da una casella non spuntata in tempo, da un algoritmo che ignora le persone.
Il diritto allo studio non è solo un principio astratto, è qualcosa che si costruisce ogni giorno nelle relazioni, nella fiducia, nella possibilità di portare avanti un percorso iniziato con fatica. È inaccettabile che studenti vengano lasciati senza classe perché non rientrano in un parametro. È inaccettabile che si parli di “ottimizzazione” mentre si calpesta la continuità formativa, l’inclusione, il futuro.
Non sono numeri. Sono storie, volti, possibilità.
Se oggi scrivo è per loro. Perché un blog serve anche a questo: a restituire voce a chi rischia di perderla. E perché il silenzio, davanti a certi tagli, pesa più di una pagina bianca.







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