Su Rai1 cronache di un’Italia che applaude alla stupidità.
Rai 1. Rete nazionale. Servizio pubblico. E intanto Mamma Pig è incinta. È il trionfo dell’assurdo travestito da intrattenimento, dell’infantilizzazione mascherata da leggerezza. E mentre il mondo reale affonda nei problemi veri, noi assistiamo, a reti unificate, alla cronaca rosa di Peppa Pig.
Stavo facendo zapping, distrattamente. Quella distrazione da fine giornata, quella voglia di spegnere il cervello per un attimo. Poi l’occhio cade su un talk show dai colori sgargianti: divanoni arancioni, pubblico plaudente, luci soffuse da centro commerciale. E lì, nel bel mezzo del nulla, la frase che non ti aspetti, e che forse nessuno dovrebbe aspettarsi: “Cicogna in arrivo a casa di Peppa Pig: la mamma è incinta!”
Mi sono chiesta se stessi sognando. O meglio, se stessi facendo un incubo grottesco. Ma no: era la realtà. O almeno quella che la TV italiana ci spaccia per tale. È tutto vero. Rai1. Programma del pomeriggio. Canone in bolletta. Applausi veri per una notizia finta.
Perché la televisione generalista è ridotta a questo circo infantile per adulti? La televisione cerca disperatamente di sopravvivere in un’epoca in cui è stata superata da social, streaming e meme. E così, pur di fare ascolti, si butta sul trash travestito da “contenuto leggero per famiglie”. Il problema è che, più che “leggero”, il contenuto è semplicemente vuoto.
Non importa se il contenuto sia sensato, utile, stimolante. L'importante è che sia assurdo abbastanza da far parlare di sé sui social.
Che la notizia sia vera, inventata o semplicemente idiota, poco importa: se genera commenti, indignazione, condivisioni… allora funziona.
Nel frattempo, l'informazione culturale dorme in seconda serata, il teatro è esiliato su canali digitali, e l’educazione civica viene sostituita dalla pancia rosa di Mamma Pig.
Siamo passati da “La cultura rende liberi” a “La TV ti intrattiene mentre ti spegne il cervello”.
Diciamocelo: una parte di colpa è anche nostra.
Noi che ridiamo per l’assurdità del momento, ma intanto condividiamo. Noi che ci indigniamo, ma clicchiamo. Noi che critichiamo, ma intanto alziamo lo share.
La verità è che la mediocrità si alimenta proprio con questo consumo passivo e distratto, con questa leggerezza tossica che chiamiamo “relax”.
Siamo diventati spettatori assuefatti, che trovano più interessante il pancione disegnato di un maiale animato che un dibattito sulla crisi climatica.
E quando la TV ci tratta come bambini dell’asilo, noi nemmeno protestiamo. Anzi, le facciamo pure le coccole.
Le alternative esistono, ma non piacciono al telecomando
Esistono contenuti culturali, programmi di qualità, produzioni che meritano. Ma spesso sono nascoste, penalizzate, fuori dall’algoritmo della leggerezza.
Il problema non è solo cosa ci viene proposto. È cosa scegliamo noi. Perché accendere la TV è un atto passivo. Ma decidere cosa guardare è un atto politico.
Ogni click, ogni ascolto, ogni applauso finto alimenta un sistema che ha scelto di premiare il ridicolo invece del riflessivo.

E domani cosa ci racconteranno?
Oggi Mamma Pig è incinta.
Domani magari vedremo George Pig in terapia di coppia.
Dopodomani Peppa prenderà il bonus nido.
E noi saremo sempre lì, davanti allo schermo, a ridere per non piangere… o forse a piangere mentre ridiamo.
Nel frattempo, il Paese reale — quello fatto di problemi veri, stipendi bassi, scuole fatiscenti, cultura azzoppata — resta fuori campo, tagliato come un personaggio secondario.
La mediocrità viene nutrita, applaudita e replicata. E la qualità, quella vera, finisce nella fascia oraria in cui tutti dormono… o su piattaforme a pagamento.
Forse è arrivato il momento di cambiare canale.
O meglio: di cambiare testa.
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